lunedì 24 novembre 2014

Proclamiamo una giornata di lutto cittadino per il caso ATC


Un filo sottile lega Asti alla vicina Casale Monferrato: con la prescrizione del caso amianto e il patteggiamento del caso ATC, per ragioni e gravità certamente differenti, le due città piemontesi si trovano a condividere la netta sensazione di aver subito una colossale ingiustizia con scarse, se non nulle, possibilità di porvi rimedio.
Per quanto riguarda il caso astigiano, in particolare, i cittadini si interrogano sull'equa giustizia: vedono lentamente "morire" la convinzione di essere tutti uguali di fronte alla legge e sempre più insistentemente percepiscono differenze di giudizio e trattamento tra il "comune mortale" e il "colletto bianco" spesso impunito, specialmente se protetto da "Santi in Paradiso".
In tempi di crisi è possibile che ognuno di noi, prima o poi, si trovi in difficoltà. In questo senso non dev'essere certamente confortante veder progressivamente "mancare" la tutela e l'attenzione nei confronti delle fasce più deboli della cittadinanza: nei loro confronti, infatti, è stato possibile perpetrare reati subdoli e meschini, protratti nel tempo, con la complicità di controlli quantomeno inadeguati.
Assistiamo inoltre impotenti all'inesorabile "spegnersi" della speranza di vivere in una società meritocratica, in cui ad essere designati a ricoprire le più alte e ben retribuite cariche istituzionali siano i più bravi e onesti.
Si verifica inoltre, giorno dopo giorno, il pericoloso insinuarsi del dubbio che "non ci si guadagni" a comportarsi da bravi e onesti cittadini: lentamente "muore" così il senso civico e di appartenenza a un'unica comunità perchè tanto a pagare è sempre Pantalone.
Fortunatamente il caso ATC, a differenza di quello di Casale, non contempla morti reali ma non per questo è da sottovalutare: dopo aver posto una "pietra tombale" sull'accertamento delle ulteriori possibili responsabilità, favorisce la ben più grave e triste "dipartita", proprio nei cittadini, di tutta una serie di convinzioni e principi che potrebbero minare alla base il progresso e lo sviluppo civile e sereno della nostra città.
Ciò che deve fare il Comune di Asti non può limitarsi al mero aspetto giuridico come avvenuto con la costituzione in parte civile: nonostante la recente concessione di patteggiamento, il Comune ha il dovere civico e morale di continuare a tenere alta l'attenzione sulla vicenda ATC, sicuramente per tentare di recuperare e far investire sul territorio il considerevole maltolto, ma ancor di più per contribuire a ripristinare il corretto rapporto tra cittadini e istituzioni che via, via va deteriorandosi.
Per questo motivo invito il Sindaco, in maniera provocatoria, a proclamare una giornata di lutto cittadino in virtù della "morte" della normale sensazione di giustizia e garanzia che ogni cittadino astigiano dovrebbe, come suo diritto, percepire.

mercoledì 12 novembre 2014

L'importante è che non sia CoCoCo-working


Dopo lo tsunami sociale generato dalla crisi economica, pensare che i posti di lavoro repentinamente persi in questi anni possano ritornare dov’erano nel periodo pre-crisi, secondo me, è illusorio: so che dovrei cercare di essere ottimista ma proprio non riesco a immaginare un fattore scatenante tale per cui, a un certo punto, i grandi colossi economici nazionali come Finmeccanica, Telecom, le banche, le Poste o lo stesso Stato tornino ad eseguire assunzioni di massa.

Quindi se negli ultimi anni, come tutti sappiamo, abbiamo assistito a mutazioni socio-economiche causate dalla crisi (che qualche interrogativo dovrebbero suscitarci circa la bontà o meno di un modello di sviluppo basato su un capitalismo finanziario globalizzato), negli ultimi 20 anni abbiamo contemporaneamente assistito ad una trasformazione della società dovuta sostanzialmente all'espansione rapidissima delle reti della conoscenza e delle reti tecnologiche. Queste hanno fatto sì che nascessero tantissime nuove tipologie di lavoro che, almeno in Italia e secondo il mio parere, sono state spesso e volentieri snobbate o quantomeno mal governate (e qui faccio un po’ di sana autocritica dicendo che noi del Pd dovremmo forse badare più a riconoscere, snellire e promuovere a livello normativo queste nuove forme di lavoro anziché concentrarci troppo sulle modifiche all’articolo 18).

Quello che di nuovo però sta succedendo nel mondo del lavoro è una nuova organizzazione e soprattutto un nuovo approccio mentale anche al lavoro legato alla “vecchia economia” che consiste non più nell'attesa o nella ricerca di un lavoro ma spesso nella creazione autonoma di nuovo lavoro.

Nel 2005 un ragazzo di San Francisco decise, per la prima volta, di affittare il suo posto di lavoro ad altri che avevano la sua stessa passione: nacque così il coworking. Abbiamo alcuni importanti esempi di successo anche molto vicino a noi, a Torino:

TOOLBOX si basa prevalentemente su progetti legati alla “new economy” e ha sede in una vecchia fabbrica di alluminio che è diventata uno spazio in cui convivono 150 persone che condividono strumenti, idee, progetti e clienti.
FABLAB che riprende invece il concetto del coworking calzato sulla vecchia economia e in particolare sul mondo dell'artigianato.

In questi posti, spesso, anche progetti complessi hanno la possibilità di giungere in porto perché a fianco a te ci sono persone con competenze diverse ma complementari alle tue e che condividono il tuo stesso stile di vita. Il coworking non è infatti solo una maniera di avere un ufficio affittando una scrivania, ma è condividere il tuo lavoro con persone che hanno la tua stessa visione del mondo, condividono la tua voglia di cambiarlo e condividono la tua voglia imprenditoriale.

Lo dico strizzando l’occhio al M5S che da sempre è sensibile al tema e con il quale solo adesso scopriamo di poter dialogare costruttivamente: se ci pensate bene, tale tipo di approccio innovativo al lavoro deriva dalle logiche della rete: gli individui abituati a lavorare in rete hanno una mentalità più collaborativa. La cultura della rete è un modello che parla di apertura, collaborazione, partecipazione e questa cosa si riflette anche nel modo di lavorare che adotta il concetto di condivisione come imperativo per reinventare il lavoro che non c'è più. Modo di lavorare che si sposa, come abbiamo detto, anche con l’azienda tradizionale perché ne moltiplica i contatti, le relazioni e di conseguenza anche le relazioni di tipo progettuale e produttivo.

Quindi, in ultima analisi, non si cerca più un posto di lavoro in senso stretto: quando parliamo di "posto di lavoro" ci riferiamo a un posto fisico in cui recarsi tutti i giorni e rincasare tutti i giorni. I nostri concittadini astigiani, in questo momento, non cercano un “posto di lavoro”: cercano un “lavoro” e, a fronte di quello, cercano un posto in cui stare per lavorare. E’ una questione di scelta che rende secondario il “posto di lavoro” rispetto al “lavoro” stesso. Io mi auguro che noi del Pd, nel concedere al lavoratore astigiano questa possibilità di scegliere dove svolgere il suo mestiere, possiamo manifestare la stessa sensibilità che abbiamo quando vorremmo concedere al lavoratore italiano la possibilità di scegliere se usufruire mensilmente della sua quota di TFR.

Per quel che mi riguarda, quindi, l’Assessore alle attività produttive e al lavoro ha la mia piena fiducia ed esortazione nel tentare di individuare, attrezzare e promuovere, nella nostra città, uno spazio in cui valorizzare questa nuova concezione del lavoro che traduce in termini nuovi quelle che un tempo erano la saggezza, la forza e la bellezza e che noi oggi attualizzeremmo con l’intuizione, la tecnologia e il design.